Maestro Venerabile, Fr∴ tutti,
Tracciare una Tavola su Mircea Eliade è un compito né facile né agevole. Uno dei più noti studiosi del fenomeno religioso, autore di centinaia di pubblicazioni e conosciuto a livello mondiale incute un evidente timore reverenziale per chi volesse cimentarsi nell’impresa di condensare in poche righe un pensiero così complesso e strutturato, che abbraccia argomenti di antropologia, di storia delle religioni, di filosofia, di storia antica, di teologia, di sociologia e di archeologia. Nonostante ciò, tenteremo di analizzare in questa Tavola tre macro-aree del pensiero di Eliade: il sacro, il mito e l’iniziazione, consapevoli non soltanto che l’esiguità di questo scritto non può evidentemente fare giustizia del pensiero del pensatore rumeno, ma che questi tre temi non esauriscono la ricca produzione eliadiana, costituendone semmai uno dei tanti snodi all’interno di un pensiero più vasto e articolato.
Prima di addentrarci nella nostra disamina, ci sembra opportuno riportare alcune note biografiche del nostro pensatore. Mircea Eliade nasce a Bucarest il 13 marzo 1907. Figlio di un capitano dell’esercito, a 14 anni pubblicò il suo primo romanzo, “Come ho scoperto la pietra filosofale”. Nel 1925 si iscrisse alla facoltà di Lettere e Filosofia all’Università di Bucarest. Quegli anni furono contrassegnati da incontri e viaggi: Eliade conobbe Emil Cioran (che nel 1986 gli dedicherà uno dei suoi Exercises d’admiration) e Eugène Ionesco, con i quali mantenne una lunga amicizia. Affascinato dalla cultura italiana e dal pensiero di Giovanni Papini (fino al punto di imparare l’italiano per leggerne le opere), soggiornò in Italia nel 1927 e nel 1928.
Eliade si formò culturalmente nella Romania del primo dopoguerra e, prima di conseguire la laurea a Bucarest, visitò l’India, soggiornandovi tra il 1928 e il 1931. In India Eliade studiò e imparò il sanscrito e fece la conoscenza dell’orientalista italiano Giuseppe Tucci. La conoscenza diretta della cultura indiana impresse una svolta fondamentale nel pensiero di Eliade, svolta che troveremo successivamente nella sua opera più nota, il “Trattato di storia delle religioni”. Nel 1933 Eliade “ottenne la supplenza della cattedra di Logica e Metafisica all’università di Bucarest, tenne monografie e seminari su argomenti quali il problema del male e della redenzione nella storia delle religioni, la dissoluzione del concetto di causalità nella logica buddhista, il rapporto tra metafisica e mistica in Nicola Cusano e il simbolismo religioso, in particolar modo quello delle acque e della vegetazione. Fondò anche una rivista che si occupava di comparazione religiosa e di valorizzazione del patrimonio folklorico rumeno, di cui fu direttore dal 1938 al 1942. Eliade lasciò la Romania nel 1940 alla volta di Londra e poi di Lisbona, dove soggiornò fino al 1945, quando gli venne assegnata una cattedra alla Sorbona di Parigi. Partì per Chicago nel 1957, dove insegnò come ordinario di Storia delle Religioni per il resto della propria vita, e dove nel 1985 fu istituita la cattedra “Mircea Eliade” a lui dedicata”.
Lontano da ogni forma di evoluzionismo, riduzionismo e funzionalismo, l’approccio metodologico di Eliade al fenomeno religioso e a quello del sacro può essere definito come “morfologico”. Decisivi per la strutturazione del pensiero eliadiano furono, senza alcun dubbio, le influenze di Georges Dumézil, con la sua teoria della cultura tripartita indoeuropea, di Gerardus Van der Leeuw (1890-1950), con la sua fenomenologia del religioso, e di Carl Gustav Jung, psicoanalista e antropologo svizzero, noto per essere stato il fondatore della psicologia del profondo.
Riprendendo Rudolf Otto, per Eliade il “sacro” è il “numinoso” per antonomasia, in quanto, allo stesso tempo, “fascinans et tremendum”. La natura del sacro, di cui le antiche civiltà erano impregnate, secondo Eliade è ambivalente per natura: il sacro è sia portatore di vita, sia portatore di morte e distruzione. Il sacro affascina e respinge allo stesso tempo, attrae e repelle, suscita sentimenti di devozione di tabù. Lontano da ogni evoluzionismo meccanicistico, Eliade fu uno dei primi studiosi accademici a ridare dignità all’uomo primitivo, laddove “primitivo” designa una mera qualificazione cronologica e non implica certo un giudizio di valore, soprattutto rispetto all’uomo moderno.
Ebbene, l’uomo primitivo non può essere scisso dal concetto di sacro, concetto che in realtà è una dimensione esistenziale “altra” rispetto non solo al Logos-Ragione dei Greci ma anche al principio di causalità della logica cartesiana. Nel tempo “pansacrale” degli antichi, o degli antenati, scrive Eliade “la coscienza di un mondo reale e dotato di significato è legata intimamente alla scoperta del sacro. Mediante l’esperienza del sacro lo spirito umano ha colto la differenza tra ciò che si rivela reale, potente, ricco e dotato di significato, e ciò che è privo di queste qualità: il flusso caotico e pericoloso delle cose, le loro apparizioni e le loro scomparse fortuite e vuote di significato”. Il sacro è insomma un “elemento nella struttura della coscienza, e non è uno stadio nella storia della coscienza stessa. Ai livelli più arcaici di cultura vivere da essere umano è in sé e per sé un atto religioso, poiché l’alimentazione, la vita sessuale e il lavoro hanno valore sacrale. In altre parole, essere – o piuttosto divenire – un uomo significa essere “religioso”.
Per Eliade l’uomo moderno, uomo desacralizzato per eccellenza, ha confinato il sacro negli abissi della Storia, eredità ingombrante di un passato che si ritiene rischiarato dalla razionalità calcolante dei Greci prima e dalla logica cartesiana poi, infine trionfante con l’Illuminismo. Tuttavia, come ha dimostrato Jung, il rimosso, l’ombra inconfessabile, ritorna più potente di prima, questa volta però senza quei riti e quei miti che sapevano come contenere la violenza e la natura minacciosa, numinosa, del sacro. Da qui l’angoscia esistenziale che attanaglia l’uomo moderno, consapevole di aver perduto qualcosa di essenziale del proprio sé ma incapace di scorgerne i contorni e impossibilitato a costruire un “senso”, un ordine, un “cosmo” al cospetto del violento, del Caos che il Sacro porta inevitabilmente con sé.
Al sacro si oppone il profano, laddove per Eliade questa dialettica scandisce la storia dell’umanità dai primordi ai giorni nostri. Se per sacro Eliade intende tutto ciò che è in grado di suscitare nell’animo umano un sentimento ambivalente di attrazione e di repulsione, di adorazione e di terrore, per profano si intenderà allora tutto ciò che è “rischiarato” dalla ragione meccanicistica, tutto ciò che smette di essere ambivalente per assumere un significato unico, univoco, non suscettibile di ulteriore interpretazione. Il sacro, per dirla con Umberto Galimberti, è tutto ciò che simbolicamente è capace di caricarsi di significati ulteriori, “altri” rispetto al significato impoverente della logica causale, che la filosofia greca e cartesiana poi ha incoronato come unico metodo interpretativo possibile della realtà. Il sacro eccede di significato e di significazione, il profano si contrae nell’unica significazione consentita.
In Eliade il sacro si manifesta attraverso le ierofanie, che sono “qualche cosa che manifesta il sacro”. Le ierofanie “mostrano il sacro”. Così, per Eliade, “In mezzo a tante pietre una pietra diventa sacra perché costituisce una ierofania, o possiede del mana, o la sua forma mostra un certo simbolismo o anche perché ricorda un atto mitico ecc. L’oggetto appare come un ricettacolo di una forza esterna che lo differenzia dal suo ambiente e gli conferisce senso e valore. Questa forza può risiedere nella sostanza dell’oggetto o nella sua forma: una roccia si rivela sacra perché la sua stessa esistenza è una ierofania: incomprensibile, invulnerabile, essa è ciò che l’uomo non è; essa resiste al tempo, la sua realtà si riveste di perennità. Una pietra delle più comuni sarà promossa preziosa, cioè impregnata di una forza magica o religiosa, solamente in virtù dalla sua forma simbolica o della sua origine: pietra di fulmine, che si suppone caduta dal cielo; perla, poiché viene dal fondo dell’oceano. Altre pietre diventano sacre perché considerate dimora delle anime degli antenati, oppure perché furono un tempo il teatro di una teofania o perché unsacrificio o un giuramento le ha consacrate”.
Nella visione di Eliade, il concetto di sacro può assumere le forme di una mentalità sacra, di un tempo sacro e di uno spazio sacro. Abbiamo già esaminato brevemente in che cosa consista la mentalità sacra; ora vediamo come Eliade definisce il tempo sacro. Anche in questo caso il tempo sacro si oppone al tempo profano, che altri non è se non il tempo lineare inaugurato dalla logica giudaico-cristiana. Il tempo sacro, al contrario, è il tempo mitico per eccellenza, è il tempo circolare dei Greci e delle civiltà orientali, è quell’eterno ritorno che Nietzsche ha così efficacemente descritto. Tempo circolare e tempo lineare non possono avere alcun punto di contatto, rispecchiando, ognuno per la sua parte, una mentalità incompatibile con l’altra. Al tempo circolare, sacro, Eliade collega la nostalgia delle origini, presente fin dai primordi dell’umanità.
Scrive Eliade: “L’essenziale della mia ricerca riguarda l’immagine che l’uomo delle società arcaiche si è fatto di se stesso e del posto che occupa nel cosmo. La differenza principale tra l’uomo delle società arcaiche e tradizionali e l’uomo delle società moderne, fortemente segnato dal giudeo-cristianesimo, consiste nel fatto che il primo si sente solidale con il cosmo e con i ritmi cosmici, mentre il secondo si considera solidale solamente con la storia”. Accanto alla nostalgia delle origini, o del Paradiso perduto, sta l’idea del mito cosmogonico. “La cosiddetta nostalgia del paradiso è presente sia nella concezione occidentale del tempo lineare progressivo sia in quella orientale del tempo ciclico. La struttura è la seguente. Esiste un paradiso primordiale, un “tempo senza tempo”, che precede la storia (molti sono i modi in cui esso è stato nominato: Eden, Età dell’Oro, Tempo del Sogno ecc.) in cui il creato mantiene ancora intatta la propria perfezione. Un errore rituale o una colpa da parte di una creatura pone fine a tale condizione paradisiaca e dà inizio alla storia, al cosiddetto “tempo profano”, caratterizzato dalla progressiva corruzione del mondo. Nel proprio immaginario, l’uomo rivive il sogno di perfezione originaria, ricostruibile periodicamente in modo armonico (per esempio, i citati rituali di capodanno, nei quali, a partire dall’Albero cosmico, il mondo intero veniva rifatto da capo e ritrovava così la propria santità primordiale) oppure in modo drammatico, attraverso gigantesche battaglie cosmiche alla fine della storia (come il Ragnarok germanico o l’Apocalisse cristiana)”.
Strettamente legato al Sacro è il Mito. Ma in che cosa consiste la differenza tra il pensare miticamente, come faceva l’uomo primitivo, e il pensare profanamente, come fa l’uomo moderno? Soggin ci offre una risposta quando scrive che “di fronte a un universo considerato vivo e vitale, attivo in ogni sfera della vita, l’uomo antico cerca di comprendere, di ordinare le sue infinite e diverse impressioni in un tutto intelligibile e armonico. L’uomo che pensa miticamente vede di fronte al mondo un perpetuo divenire, mai un essere: si sente quindi insicuro. E per comprendere questo divenire e ottenere questa sicurezza che gli manca, l’uomo antico proietta a ritroso le sue esperienze e le sue aspirazioni, ponendole in relazione con un avvenimento mitico primordiale, della preistoria: là il mondo presente ha le sue basi. Così il mito diviene l’espressione della comprensione umana della realtà”.
Per Eliade i miti rappresentano una “tradizione sacra, una rivelazione primordiale, un modello esemplare”… “Il mito scopre una regione ontologica inaccessibile all’esperienza logica superficiale […] Il mito esprime plasticamente e drammaticamente quel che la metafisica e la teologia definiscono dialetticamente”.
Nell’uomo moderno, dominato e attraversato dal tempo lineare, non è più possibile situarsi in una prospettiva mitica; mancano i presupposti necessari perché ciò sia possibile. E allora, quali sono questi presupposti?
Il mito presuppone che l’essere umano viva immerso, letteralmente, nel tempo ciclico, poiché “il mito dell’eterno ritorno suggerisce che la ciclicità del tempo possa essere data, in primo luogo, dalla sua reversibilità. L’uomo arcaico può proiettarsi nel tempo delle origini; attraverso la celebrazione di un rito egli si ricollega o meglio, si identifica con l’avvenimento archetipico avvenuto in illo tempore. Il momento fondante dunque, si ripete, indefinitamente, in uno svolgimento ciclico, il quale garantisce la stabilità e l’eterno rigenerarsi del mondo. Questo andamento ciclico non può che avere il mito come strumento funzionale alla ripetizione. I fatti avvenuti nel passato non sono registrati in quanto tali e non entrano a far parte di un patrimonio storico della comunità. Al contrario, questi eventi, ritenuti significativi per una qualche ragione, vengono tramandati dalla memoria collettiva sotto forma di archetipi mitici. In questo modo, l’uomo può, attraverso la reversibilità del tempo mitico, accedere al mondo dei princìpi. Tutto questo, evidentemente, si situa in frontale opposizione con il susseguirsi omogeneo e irreversibile della storia e dunque dell’autocoscienza storicizzante dell’uomo moderno”.
Desacralizzato e intriso di razionalità calcolante, in preda a quel Regno della Quantità di cui parlava René Guénon, l’uomo moderno ha smarrito anche il senso dell’iniziazione; si può anzi affermare che nel mondo tecnologico e conformista di oggi non sia più possibile attuare un’iniziazione che non sia meramente virtuale. A differenza di Guénon, che vedeva nell’iniziazione un’influenza spirituale che, calando dall’alto, riempie l’iniziato (il recipiendario di massonica memoria) operando una trasmutazione a livello delle energie sottoli, quindi una trasmutazione spirituale, mentale e psichica, cioè sostanzialmente a carattere “discendente”, per Eliade l’iniziazione è “ascendente”, perché ogni atto religioso è un tentativo di rifacimento dell’unita cosmica”.
Si noti qui la scelta lessicale di Eliade, per il quale l’iniziazione è data solo all’interno della dimensione religiosa, alla quale appartiene e in cui coesiste anche il fenomeno mistico. A differenza di tanti esoteristi, massoni e non, come per esempio Guénon, Eliade caratterizza il concetto di iniziazione in una prospettiva sociologica. L’iniziazione non conferisce un cambiamento spirituale quanto un cambiamento di status esistenziale all’interno del gruppo primitivo. Per Eliade l’iniziazione comprende tre passaggi “sociali” che si possono riscontrare in tutte le civiltà antiche, e cioè i rituali collettivi di passaggio dalla fanciullezza all’età adulta, i riti di ingresso in una società segreta, come i misteri greco-orientali, e la vocazione mistica. Si può qui intravedere una certa consonanza con le teorie di Arnold Von Gennep e i suoi “Riti di passaggio”.
Mito, sacro, iniziazione: il mondo “cosmico” di Mircea Eliade non cessa di stupire e di fecondare con le sue intuizioni anche le ricerche più recenti in fatto di archeologia e antropologia. Assieme a Carl Gustav Jung, per certi versi, pur tra profonde differenze, a René Guénon, a Dumézil e tanti altri studiosi di metà Novecento, Eliade ci ricorda ancora oggi che l’uomo contemporaneo non può vivere soggiogato da un materialismo tecnologico che lo impoverisce spiritualmente e moralmente, privo di una direzione valoriale e preda di angosce esistenziali verso cui né il mito né l’iniziazione sono più in grado di proteggerlo, per il semplice motivo che essi sono scomparsi dall’orizzonte concettuale ormai da più di un secolo.
Così desacralizzato e immemore di quell’enorme giacimento mitico e spirituale al quale l’uomo antico attingeva, l’uomo moderno va alla deriva senza difese, in balia del ritorno del sacro, e della sua violenza, perché incapace di leggerne la valenza, privo com’è di quegli strumenti psichici, mitici e spirituali che le civiltà antiche sapevano usare per mettere in ordine il Caos, costruendo un Cosmo interiore a somiglianza di quello esteriore, e che riuscivano a dare un senso alla propria esistenza in questo mondo. Senso e ordine che oggi si sono eclissati per fare spazio a una degradazione pulsionale e istintuale che non riusciamo più né a capire né a contenere.
Maestro Venerabile, Fr∴ tutti,
Ho detto.
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